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Tesori d’archivio: una raccolta online di vecchie riviste “pulp” (e storia di una parola usata male)

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Negli anni ’90 ero un adolescente problematico. E come quasi tutti gli adolescenti problematici dell’epoca andai al cinema a vedere Pulp Fiction, uscendone con una — come definirla? fregola? sì, chiamiamola fregola perché quella smania di “roba grossa”, di un’esistenza al limite e senza tempi morti, da glorificare con azioni stupide e dialoghi stereotipati e da affrontare seguendo una cronologia frammentata tanto quanto quella del film, quella smania lì era pure questione di ormoni e aveva dentro di sé un evidente sottotesto di carattere sessuale — e dunque, dicevo, uscendone con una fregola ansiosa e ansiogena, e la convinzione assoluta che la vita, l’universo e tutto quanto andassero vissuti in modo “molto pulp”.

In quel 1994, l’anno della discesa in campo di Silvio, l’anno di svolta per la mia generazione, l’anno dell’Unplugged in New York dei Nirvana, di Live Through This delle Hole e della morte di Cobain; de Il Corvo e dell’album d’esordio dei Korn; di Jack Frusciante è uscito dal gruppo e di Superunknown dei Soundgarden; di Natural Born Killers (di Oliver Stone ma su sceneggiatura di Tarantino, visto al cinema pure quello, con conseguente fregola ma di carattere diverso: omicida, vendicativa, da strage di famiglia) e di The Downward Spiral dei Nine Inch Nails, di Killing Zoe (ancora Tarantino, ma alla produzione) e di Dookie dei Green Day, di Branchie di Ammaniti e No Need To Argue dei Cranberries (con Zombie canticchiata sulle corriere che portavano in gita i ragazzi di mezza Italia, i maschietti prontissimi a mettere a disposizione una spalla su cui le ragazzine potevano appoggiarsi e magari ci scappava pure un bacio fugace ma bastava pure il profumo dei capelli o di una sciarpa sul maglione).
In quel 1994 il termine “pulp”, in Italia, venne definitivamente sdoganato ma per colpa della stampa superficiale e del marketing furbo e ottuso prese una deriva tutta sua, una vita propria, lontana dal significato originale.

Quel che è successo lo spiega in maniera esemplare Davide Mana in un post intitolato Una breve introduzione al pulp (Tarantino astenersi) suo blog:

Lei: “Cosa leggi?”
Io: “Una raccolta di storie pulp.” (penso località esotiche, azione, avventura, tesori nascosti)
Lei: “Ah.” (pensa donne che tirano coca, pistolettate, interminabili seghe mentali sui nomi degli hamburger, bad motherfucker)

A un certo punto tutto diventò “molto pulp”, al cinema come in tv, in letteratura (dove ebbe come sinonimo anche l’etichetta “cannibale”, dopo la famigerata antologia Gioventù Cannibale curata da Daniele Brolli e uscita per Einaudi nel ’96) come nei discorsi tra amici.
Nell’intervallo, a scuola, o il sabato sera con gli amici, non era raro sentire dialoghi come questo:

– Pensa che ieri sera Giovanni si è ubriacato come una merda e poi ha preso il motorino e alla prima curva è andato lungo.
– E il motorino?
– A pezzi. Ma lui era talmente fuori che s’è rialzato subito come niente fosse ma era una maschera di sangue, c’aveva un taglio sulla fronte che sbrodolava giù sangue a fiotti.
– Cazzo che storia.
– Non è finita. Noi stavamo tutti lì a guardarlo che arrivava come uno zombie e a un certo punto si è piegato in due e si è messo a vomitare. Te lo immagini? Il sangue che gocciolava giù in mezzo al vomito. C’aveva una maglietta che pareva la scena di un massacro.
– Molto pulp!
– Già, troppo pulp!

Ma cos’è, in realtà, “molto pulp”?
Pulp era quel genere di letteratura di scarsa qualità pubblicata su giornalacci stampati su pessima carta, ricavata direttamente dalla polpa di legno, il che spiega l’etimologia.

C’erano sì storie di sesso e violenza ma c’erano anche romanzetti rosa e tanta, tantissima avventura: western, isole lontane, esploratori, battaglie aeree, alieni, misteri irrisolti, fantasmi…
Pulp non era l’argomento, pulp era l’estetica tipica delle riviste che pubblicavano e vendevano per pochi spiccioli quei racconti, pulp era soprattutto lo stile letterario (di solito molto scadente, anche se tanti ottimi scrittori si sono fatti le ossa così), pieno di stereotipi e votato al sensazionalismo, citato — questo sì — in maniera geniale da Tarantino.

Una dimostrazione?
Guardati il meraviglioso archivio di The Pulp Magazines Project, che raccoglie decine di vecchi magazine pubblicati tra il 1896 e il 1946, l’età d’oro del pulp, mettendo pure a disposizione svariate scansioni delle riviste complete.

Una risorsa inesauribile sia per aggiustare il nostro concetto di “pulp”, sia (e qui penso a tutti coloro che lavorano con l’immagine) per curiosare tra i progetti grafici e le splendide copertine illustrate di un sottobosco editoriale poverissimo a livello di budget ma ricchissimo di inventiva.

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